SCRIVERE LE MIGRAZIONI

All’inizio del 1992, durante una riunione della segreteria della FILEF iniziò una discussione sul programma di iniziative da assumere per celebrare il 25° anniversario della fondazione della FILEF stessa. Furono avanzate diverse proposte, tra le quali l’idea di istituire un “premio letterario” o di narrativa, in cui fosse possibile raccogliere e raccontare in forma letteraria vicende della grande emigrazione italiana nel mondo, prima di tutto da parte dei protagonisti di quelle vicende, il cui ricordo cominciava ad affievolirsi nella coscienza collettiva del Paese.

L’intento era quello di dare voce a chi fino a quel momento non l’aveva mai avuta, portando in luce le storie, i drammi ed i ricordi di milioni di persone che dalla metà dell’ottocento fino agli anni 70 del ventesimo secolo avevano abbandonato l’Italia per cercare fortuna in tutti gli angoli del mondo, in Europa, in nord e sud America, in Australia, ma anche in Africa ed in Asia. Stiamo parlando di poco meno di trenta milioni di persone, le cui storie ed esperienze meritavano attenzione, meritavano di essere portate alla luce come elemento essenziale e costitutivo della storia italiana.

La proposta del premio dedicato alle storie di emigrazione ottenne l’approvazione ed il consenso dei membri della direzione e chi l’aveva proposto, essendo in stretto contatto con la Regione Umbria, fu incaricato di sondare la Regione stessa per valutare la fattibilità della proposta, che si incentrò intorno alla figura del primo presidente dell’Umbria, Pietro Conti, da poco scomparso e fortemente attento al fenomeno migratorio che nel corso dei decenni aveva colpito profondamente anche la sua regione. Si tenga presente che, mentre oggi esistono vari premi e concorsi dello stesso tipo, allora la questione di istituire un premio dedicato all’emigrazione costituiva una assoluta novità ed in questo senso il Premio Conti dell’emigrazione fu in assoluto il primo di questo genere.

L’allora presidente della Regione, Claudio Carnieri, capì al volo l’importanza ed il valore della proposta e fece assumere una deliberazione che istituiva il premio Pietro Conti, con ricorrenza biennale, con un adeguato finanziamento, con affidamento alla FILEF di promuovere ed organizzare la diffusione, la partecipazione e la raccolta e conservazione delle testimonianze, nonché di designare alcuni membri della giuria e di organizzare la cerimonia di premiazione; subito dopo la prima edizione, fu modificato il bando, nel senso della istituzione di due sezioni, non solo quella “letteraria”, ma anche quella storica e memorialistica, a cui, nelle ultime edizioni del premio ne fu aggiunta una terza, dedicata alla ricerca scientifica sulle migrazioni, prendendo in esame studi, ricerche e tesi di laurea sull’argomento.

Nel frattempo, poiché anche l’Italia aveva cominciato a conoscere fenomeni di immigrazione sempre più significativi, il concorso fu aperto ai fenomeni migratori tout court, aprendo ed accogliendo elaborati che trattavano anche dell’immigrazione in Italia, unificando i due fenomeni nel concetto di migrazione.

Regione Umbria e FILEF elaborarono il bando del primo premio Pietro Conti sull’emigrazione, bando che fu diffuso attraverso i canali FILEF in tutto il mondo.

Entro i termini previsti arrivarono centinaia di elaborati, che misero a dura prova la giuria, composta da esperti scelti dalla Regione Umbria e dalla FILEF; da allora si partì, con cadenza più o meno biennale, con gli aggiustamenti in itinere come sopra accennato e con il successivo coinvolgimento dell’ISUC (Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea) voluto dalla Regione.

Il compito di volta in volta affidato alle giurie era quello di valutare gli elaborati pervenuti e designare i vincitori (nel numero di tre, a cui viene assegnata anche una significativa somma di denaro a scalare), nonché di segnalare i lavori che, pur non vincitori, avessero un interesse ed un valore particolare e come tali venissero segnalati per la pubblicazione in un apposito volume insieme ai lavori vincitori. Per le segnalazioni non c’era un numero prestabilito cosicché nelle varie edizioni il volume risultante conteneva un numero variabile di elaborati.

Veniva così a costituirsi lentamente un vasto patrimonio scritto di storie, di racconti, di esperienze, di riflessioni, di testimonianze, di ricerche in cui parlavano spesso i diretti protagonisti, talvolta i loro discendenti e congiunti, talvolta fini letterati, scrittori e giornalisti, talvolta semianalfabeti desiderosi tuttavia di testimoniare la loro esperienza o quelle dei propri parenti, con racconti  e riflessioni dovute ad  esperienze dirette o per sentito dire; un mondo di esperienze variegate, avventurose o drammatiche, fatto di ansie, di scoperte, di speranze, di delusioni, di struggente nostalgia, di propositi, di successi e di delusioni, di vittorie e di sconfitte, insomma il variegato mondo dei migranti e dell’emigrazione.

In tal senso il materiale pubblicato è prezioso, non solo sotto il profilo di documentazione di vicende e avvenimenti, ma anche sotto un profilo linguistico, in cui dialetto, lingua e parlate locali si mescolano e si intrecciano.

I racconti di seguito pubblicati non sono tutto il materiale pervenuto, poiché una parte significativa di quanto non è stato pubblicato nei volumi frutto delle varie edizioni del Premio Conti, rimasto a livello cartaceo come era stato inviato dai partecipanti, è andato purtroppo smarrito nei vari traslochi della FILEF. Non sarà facile recuperare tutto il materiale inviato dai partecipanti alle varie edizioni del premio, ma tuttavia il materiale che è al momento disponibile resta una documentazione preziosa che la FILEF, grazie anche al contributo del Maeci (che vogliamo sentitamente ringraziare) mette a disposizione di chiunque sia interessato al grande e secolare affresco costituito dall’emigrazione italiana nel mondo e dai più recenti fenomeni migratori nel nostro Paese, tenendo presente che probabilmente non c’è famiglia italiana che, attraverso un parente più o meno prossimo, un nonno, un bisnonno, un prozio, nel sud ma anche nel centro e nel nord  Italia non sia stata toccata, in epoche e con modalità diverse, dal fenomeno migratorio, oggi purtroppo in forte ripresa, anche se con caratteristiche abbastanza diverse dal passato: il mondo è cambiato, è più piccolo e più connesso, le possibilità di spostarsi sono enormemente aumentate, ma -parafrasando Dante- “lo pane altrui sa sempre di sale”.

Di solito si considera il 1973 come l’anno limite dell’emigrazione italiana, quasi che in quell’anno l’emigrazione sia cessata; ma non è così: nel 1973 il numero dei rientri ha superato il numero degli uscenti, ma l’emigrazione continuava, anche se non più al ritmo degli anni posteriori alle due guerre mondiali; l’emigrazione continuava e continua ancora oggi, a ritmi tutt’altro che marginali.

L’ISTAT ci dice che negli ultimi 10 anni 738.000 italiani sono emigrati all’estero; ma sono sicuramente molti di più, se si tiene conto che molti non cancellano la residenza prima di espatriare, non si iscrivono all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) e quindi non risultano nelle statistiche. Controprova: secondo l’ISTAT nel 2017 14.200 italiani sono emigrati in Germania; ma l’istituto di statistica tedesco ne ha registrati circa 64.000, cioè quattro volte e mezzo in più; sempre nel 2017, secondo la nostra ISTAT, 22.000 italiani sono emigrati in Gran Bretagna, ma il governo inglese ne ha registrati circa 46.000; sproporzioni analoghe ci sono per la Spagna, dove secondo l’ISTAT si sono trasferiti 8.000 italiani, ma le autorità di Madrid ne hanno registrati più di 20.000.

Estrapolando questi dati, non si è lontani dal vero se si afferma che negli ultimi 10 anni sono emigrati tra due milioni e mezzo e tre milioni di concittadini, con una media annuale di emigrati di circa 275.000, ben superiore a quella paventata invasione di immigrati che ha caratterizzato la discussione pubblica e l’agenda politica del nostro paese e su cui i movimenti xenofobi e razzisti hanno costruito le loro fortune politiche. I dati sulla nuova emigrazione italiana sono il sintomo di un profondo disagio sociale, fatto di lavoro precario e discontinuo, comunque malpagato, di mancanza di prospettive, di una contrattualistica aberrante, di un mercato del lavoro statico ed asfittico e profondamente viziato da inique discrezionalità.

Ma chi ha cavalcato la tigre dell’immigrazione selvaggia si guarda bene dall’affrontare questi problemi e fa finta di ignorare che sono più gli italiani (32%) preoccupati del fatto di vedere tanti giovani abbandonare il Paese che non quelli (24%) preoccupati dalla presenza di immigrati; cioè per 2 italiani su 3 il trasferimento di tanti ragazzi italiani all’estero è una minaccia pari o superiore all’arrivo di immigrati. Ciò almeno stando ai risultati di una recentissima ricerca, condotta tra gennaio e febbraio di quest’anno su 46 mila europei (di cui 5 mila italiani) da YouGov per conto dello European Council on Foreign Relations in 14 Paesi europei.

La storia passata e recente ci insegna che l’emigrazione è una perdita secca per il Paese da cui si emigra ed un vantaggio per il Paese dove si emigra. Ma chi non conosce la storia e fa la guerra agli immigrati non si pone il problema della nuova emigrazione italiana e contribuisce pertanto ad impoverire il Paese in due modi antitetici ma concorrenti.

Un errore grave, in cui incorrono anche coloro che, pur contrastando giustamente queste posizioni, ne accettano in definitiva l’agenda laddove concentrano anch’essi la propria attenzione esclusivamente sull’ “emergenza immigrazione” ignorando o considerando come normale il crescente deflusso oltreconfine dei nostri giovani.

Francesco Berrettini

(Presidente FILEF)



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